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martedì 21 febbraio 2017

Buon anno Vietnam: 1° gennaio ad Haiphong, città autentica fuori dalle rotte convenzionali

Pubblico molto volentieri il racconto di viaggio di Fabrizio, affezionato lettore di questo blog (e di molti altri) e attento viaggiatore fai-da-te. Si parla di Haiphong, tappa insolita di un tour del Vietnam. Grazie a chi legge e a chi scrive!

Hai Phong è la terza città del Vietnam ed il primo porto commerciale della Nazione. E’ una città moderna, tutta in fermento e proiettata verso un prospero avvenire, essendo il punto di approdo e di partenza delle merci destinate alla parte settentrionale del paese. E’ dotata di un moderno aeroporto, e quindi ha tutte le carte in regola per ritagliarsi un posto di primo piano nel contesto nazionale. Stranamente è tagliata fuori dalle rotte turistiche convenzionali, ed ha la nomea di “città della mafia”, che la penalizza non poco. È risaputo che il turismo occupa oggi un posto importantissimo nell’economia nazionale.
Secondo il mio programma di viaggio da nord a sud, Hai Phong era un ottimale scalo per il centro del Paese. Siamo arrivati in questa città provenendo dalla Baia di Halong il primo giorno dell’anno, a bordo di un robustissimo bus di linea condotto da un pilota che ha messo a dura prova ed esaltato le parti meccaniche del mezzo con una guida, per dirlo con un eufemismo, molto “allegra”, riuscendo a spremere fino all’ultimo cavallo il motore del mezzo, guidando quasi sempre a ridosso della linea di mezzeria della carreggiata, in perenne sorpasso e a velocità folle attraverso ameni paesaggi agresti e centri abitati.
Abbiamo sostato ad Hai Phong una notte, pernottando all’hotel Haong Hai, economico, centrale e pulito, dal quale la mattina seguente abbiamo raggiunto l’aeroporto in un battibaleno. Il tempo qui trascorso è stato quello che più ci ha fatto vivere ed apprezzare il posto, in quanto non abbiamo visto traccia di occidentali.
Una volta espletate le formalità di accettazione, alle 16,00 circa ci siamo ritrovati in strada per iniziare la visita della città. Per prima cosa, avendo necessità di valuta locale ci siamo recati in banca, ma l’impiegata ci ha comunicato che lo sportello era fuori servizio causa festività (!) e comunque ci ha invitato a rivolgerci ad un negozio di oreficeria che funge anche da cambiavalute. Raggiunto il locale ho appurato che forse quello che si dice della mafia locale ha un minimo di fondamenta: ho cambiato euro ad un tasso vantaggiosissimo, mentre vicino a me il contatore di banconote non smetteva di propagare il fruscio di banconote da 100,00 dollari di nuova emissione che un impassibile signore continuava a porgere al dipendente della gioielleria. Sono rimasto impressionato dal numero di banconote impilate sul tavolo.

Il nostro hotel si trova a circa metà strada fra il teatro dell’opera e la stazione ferroviaria, a ridosso di un mercato, che abbiamo immediatamente deciso di visitare. Qui di turisti nemmeno l’ombra, e l’ambiente è quanto di più genuino ci può essere: un’esplosione di colori, di profumi (e non), di rumori e di sapori che solo i mercati asiatici sanno proporre. Ci siamo immersi quindi nelle viuzze stracolme di bancarelle e mercanzie di ogni genere, alimentari per lo più: frutta, verdura e pesce in quantità industriali, lavate e pulite sui marciapiedi rilasciando rigagnoli di acqua sporca colorata del rosso del sangue e dell’argento delle squame dei poveri pesci scorticati vivi. Nell’ambiente coperto in un dedalo di passaggi sono ammassati quantitativi enormi di mercanzie, in uno spazio buio e claustrofobico che ci ha fatto guadagnare in fretta l’uscita all’aria aperta, per quanto appesantita da fumo e odori forti. L’odore della carne grigliata ci ha sollecitato le narici, ed abbiamo sostato presso una cucina all’aperto dove una processione continua di gente sostava per uno spuntino veloce per poi dileguarsi alle proprie faccende. Abbiamo gustato dei Banh Mi, semplicemente eccezionali.

A parte il mercato, luogo di incontro per antonomasia, abbiamo osservato che la gente “vive” la propria città, radunandosi in molteplici capannelli lungo i marciapiedi degli ampi viali a socializzare di fronte ad una birra, un caffè o ad una ciotola di zuppa a tutte le ore. La zona che abbiamo visitato è degna del confronto con una grande città europea; se non fosse per il solito immane traffico caotico che innalza a livelli esponenziali i valori dello smog, sarebbe senz’altro una città vivibile. Il nuovo ha ormai sopraffatto la vecchia città coloniale: resistono ancora pochissime basse costruzioni circondate da altissimi palazzi di vetro e cemento che le lasciano perennemente e mestamente in ombra.
Del periodo francese meritano un cenno di nota per una visita esterna il palazzo del Teatro dell’Opera, chiuso, e le chiese cristiane fra le quali la bella Cattedrale, tutte chiuse anch’esse. Una bella passeggiata a piedi è la cosa migliore che si possa ottenere. La sera il traffico cala sensibilmente, ed i marciapiedi si popolano di gente e di attività all’aperto; ci sediamo ad uno di questi tavoli per consumare una ciotola di zuppa, vicino ad una giovane coppia. Lui ci chiede da dove veniamo, quindi: “ah, A.C. Milan, good football team!” Io vorrei rispondergli che per me nei campi da calcio ci potrebbero pure piantare le patate, ma nel frattempo ha già ordinato una birra, e con un largo sorriso me ne porge un bicchiere accennando un brindisi, non so se a noi o al Milan, mentre la compagna dagli occhi di cerbiatta ci guarda incuriosita. Il loro inglese non è certamente migliore del mio, ed allora lascio che il solo tintinnio dei due bicchieri che si toccano suggelli il rito. Al diavolo il Milan, Auguri Vietnam!

mercoledì 4 maggio 2016

A Saigon il Pit Stop per motociclisti assetati (video)


Durante il viaggio in Vietnam mi sono divertita a osservare che cosa fanno e come vivono le persone. Tra le cose più curiose che ho notato c’è il “Pit Stop” per i motociclisti che, come un po’ ovunque in Asia, scorrazzano numerosi per le strade delle città. Ma anziché cambiare le gomme, qui si offre da bere! Così il guidatore stanco del traffico e del caos negli incroci, può comodamente rifocillarsi senza scendere dal sellino. Una signorina sorridente e in divisa si avvicina per prendere l’ordinazione e in pochi secondi arriva il beverone contro l’arsura della sete. Si paga e via! Ho visto e filmato questa scena a Saigon, all’angolo di una strada trafficata (neanche a dirlo!) che si trova nei pressi della pagoda dell’Imperatore di Giada. Il tempio mi è piaciuto, ma il Pit Stop non è stato da meno!


lunedì 2 maggio 2016

Badminton nei parchi e calcio in tv: i vietnamiti vanno pazzi per lo sport


Lo sport più seguito in Vietnam è senza dubbio il calcio: ne vanno matti e le tv sono sintonizzate su una qualsiasi partita del momento, dalla Champions League ai Mondiali o al campionato italiano. L’incontro con un turista italiano è sempre una buona occasione per sciorinare, sorridendo, nomi di squadre e calciatori. Calcio a parte, quello vietnamita è un popolo di sportivi anche se, a guardare la loro corporatura mingherlina, non si direbbe. Sono praticati numerosi tipi di arti marziali e al mattino presto non è strano vedere nei parchi o in riva al mare gruppetti di donne che, guidate da un maestro, si cimentano nelle mosse lente e pensate del Tai Chi. I giardini pubblici, specialmente nelle città (Saigon ne è piena), sono dotati di angoli dedicati alla ginnastica con macchine per gli addominali o cyclette. E poi uno spazio aperto si può facilmente trasformare in un campo da ShuttleCock, sport di origine cinese che appartiene alla famiglia del Badminton. È una specie di “calcio-tennis” con lo scopo di non far mai cadere il volano per terra. I più bravi si esibiscono all’aperto in un lungo e coreografico ping-pong di palleggi! E poi vanno pazzi per il ballo. Passeggiando per Saigon mi sono imbattuta in una scuola di ballo dove persone di tutte le età si cimentavano in passi doppi dal ritmo latino.


mercoledì 23 marzo 2016

Viaggiare sicuri, riflessioni di una ex studente Erasmus sul Belgio


Nonostante siano passati più di tre mesi dalla mia partenza, penso ancora al Vietnam e mi chiedo se troverò una meta altrettanto tranquilla e sicura come questo paese. Avevo bisogno di questo viaggio come il pane per ricordare a me stessa che esiste la vita (tante vite) anche al di là della punta del mio naso. Sono partita con questo spirito, curiosa di scoprire modi di pensare e culture diverse dalla mia. Questo blog, nato per dare consigli a chi brancola nel buio prima di un viaggio fai-da-te, è una prosecuzione virtuale di questa mia esperienza che vorrei si ripetesse in altre parti del mondo. Ma dove?

Ieri è successa una cosa strana: nella giornata dell’attacco terroristico alla metro e all’aeroporto di Bruxelles, questo sito ha registrato una inaspettata impennata di visite provenienti dall’Europa e specialmente dall’Italia. Domanda: il mio blog si sta finalmente indicizzando sui motori di ricerca? Oppure è un piccolo, piccolissimo esempio del cosiddetto “effetto farfalla” per il quale il ‘battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo’? Forse quest’ultima interpretazione è un po’ azzardata. Di sicuro c’è che stamattina il Dipartimento di stato Usa ha emesso un ‘travel warning’ che sconsiglia agli americani di viaggiare in Europa. Con buona pace dei fatalisti (e con tanta ansia da parte degli allarmisti), il turismo nel Vecchio Continente subirà una flessione. Sono io la prima che già da un paio d’anni non mette piede in Europa (eccetto l’Italia naturalmente) e non soltanto per l’Isis. È un mito che crolla. Appartengo alla generazione Erasmus, quella che poco più che ventenne si è ritrovata catapultata in un altro paese a scoprire come vivono e studiano all’estero. In quell’anno ho imparato a sentirmi una siciliana d’Europa, orgogliosa di far parte di questo sistema. Indovinate dove sono stata per nove mesi? Nel piccolo Belgio, a Ghent, una deliziosa cittadina universitaria a circa un’ora di treno da Bruxelles. Inutile dire che è stata un’esperienza super, più formativa di qualsiasi manuale di diritto. Sono tante le immagini che mi tornano in mente. Ricordi bellissimi di gioventù, vita e amicizia. Ogni tanto mi chiedo se sia ancora lì il signore extracomunitario di un locale vicino alla nostra residenza che ogni settimana (anche più di una volta a settimana) ci preparava la pita, pane tipico del Medio Oriente imbottito con verdure e kebab. Costava poco e per noi era una tappa obbligata dopo una giornata di studio o dopo una serata di bagordi. Non ho mai parlato molto con questo signore, ma si era creato un tacito legame. Lui ci guardava con affetto e magari anche con un po’ di sana invidia: 4 ventenni fortunate con i soldi di papà, le sneaker firmate e tanti sogni convinte di poter realizzare dopo gli studi. Aveva una figlia di 7-8 anni, il viso magro e scuro. Passava dal locale con uno zaino più grande delle sue spalle per entrare dentro casa. Chissà se oggi è iscritta all’università come noi ‘ragazzi Erasmus’ di allora. Il piccolo Belgio è anche questo, nonostante oggi ci sia il coprifuoco e le teste di cuoio tra le rue della Capitale a caccia dei ‘foreign fighters’. Quando vivevo a Ghent, mi bastava prendere un treno per girare l’Europa. Francia, Olanda, Lussemburgo: da lì tutto è a portata di mano. E anche negli anni successivi ho continuato a essere innamorata del mio continente e a girarlo in lungo e in l’altro. Poi, l’amore si è affievolito. A un certo punto la moneta unica e l’Unione Europea, il suo parlamento con tutti gli eurodeputati (ma chi li conosce?) non mi sono più sembrati l’invenzione del secolo. L’economia ristagnante, la politica sugli immigrati, il caso Grecia e le affascinanti tesi del suo ex ministro economista Varoufakis spingono a farsi qualche domanda sul mondo dorato delle istituzioni europee. È un sistema che si sgretola.
Trascorrere una vacanza in una capitale europea non è più conveniente. Troppo allarmismo e troppa paura dello sconosciuto. L’atmosfera non è più quella di una volta, quella che piaceva a me. Anche per questo ho iniziato a guardare altre mete. L’Asia, anzi il Sud Est Asiatico e i paesi lì vicino, sono quelli che mi trasmettono più serenità. La Farnesina lo conferma. Guardo la mappa del mondo sul sito http://viaggiaresicuri.it e fa male vedere il punto esclamativo, simbolo di allarme, piazzato proprio nel cuore dell’Europa. In Belgio hanno elevato al livello 4 (il più alto nella scala) l’allerta terrorismo in tutto il paese. E le altre capitali europee non sono da meno. Ecco perché, a distanza di pochi mesi, guardo il Vietnam con nostalgia. Nella speranza di tornare a essere sicura e orgogliosa del mio continente.

martedì 16 febbraio 2016

Ricetta Pho Bo (di manzo): ecco come preparare la tipica zuppa vietnamita

È arrivato il momento di cimentarsi nella preparazione della zuppa Pho, un piatto unico della cucina vietnamita che richiede molta pazienza e un bel po' di ore ai fornelli. Esistono numerose varianti: con manzo, pollo, pesce e così via. Tutte prevedono l'utilizzo della “salsa di pesce”, la Muoc Mam, facilissima da reperire in Vietnam ma un po' più difficile da trovare in Italia. Per questo motivo dovrò farne a meno. Ho scelto di preparare la Pho Bo, cioè quella con sottilissime fettine di manzo e ho aggiunto le erbe aromatiche che più mi piacciono.

Una porzione: 270 calorie

Ingredienti

- 2 kg di Ossa di Manzo
- 500 gr di contro filetto di manzo (da tagliare poi in fette sottilissime, quasi un carpaccio)
- 1 Cipolla
- 1 Radice di zenzero
- 1 Peperoncino fresco piccante
- 1 Lime
- 200 gr di Anice stellato
- 40 ml di Salsa di pesce (io dovrò farne a meno :-( ma si trova in negozi asiatici ben forniti)
- Rametti di prezzemolo fresco
- Mazzetto di Menta fresca
- Foglie di basilico fresco
- Erba cipollina fresca
- Germogli di soia
- 15 gr di Zucchero di canna
- 500 gr di Noodle di riso
- Grani di pepe nero
Sale q.b.

Per prima cosa date una rosolata alla cipolla e allo zenzero per farli abbrustolire un po'.
In un altro pentolone fate bollire le ossa di carne in tre litri d'acqua. Aggiungere la cipolla e lo zenzero avendo cura di rimuovere le parti bruciacchiate. Unire anche le fettine di carne, l'anice stellato, i grani di pepe, lo zucchero, il sale e la salsa di pesce (se l'avete). Incoperchiate e lasciate cucinare il tutto per circa 1-2 ore a fuoco lento. Togliete la carne quando è pronta e mettetela da parte, aspettando che si raffreddi per tagliarla in fettine sottilissime.
Fate cucinare ancora un po' il brodo e poi filtratelo per eliminare le impurità. Assaggiate il brodo per accertarvi che sia saporito e in caso aggiustate con gli ingredienti.

Seguite le istruzioni che trovate nella scatole per la preparazione dei noodle di riso che dovranno essere aggiunti nelle ciotole dove servire la zuppa. Decorate il piatto con 4-5 fettine di manzo. Tagliate il peperoncino fresco a rondelle e aggiungetelo.
Servire in un piatto di portata tutte le erbe aromatiche crude, altro peperoncino e germogli di soia che i commensali potranno aggiungere a piacimento. In una ciotoline riponete il lime diviso in 4 pezzi da spremere sul brodo.
La pho bo è pronta!

Buon appetito!!
Zuppa Pho Bo

martedì 9 febbraio 2016

Villaggi di minoranze etniche, dove andare: Sapa o Mai Chau?

Le risaie, gli altopiani verdi, i giri in bici tra i campi e il sorriso delle donne in abiti tradizionali sono alcune delle immagini più ricorrenti sul Vietnam. Per coglierne l'essenza si può andare nei villaggi di montagna abitati dalle minoranze etniche e vivere qualche giorno con loro in una casa-palafitta. La località più nota è Sapa, tribù montana vicina al confine cinese e a quello con il Laos. La maggior parte delle fotografie del Vietnam - volti di persone e terrazzamenti verdissimi – è stata scattata qui. Per raggiungerla ci vogliono più di nove ore di treno o pullman da Hanoi. Al momento della mia partenza ero convinta che Sapa sarebbe stata una tappa imperdibile del mio viaggio. Ma una notte in treno o pullman e il cattivo tempo che avremmo trovato, mi hanno fatto cambiare idea. Vivere questo luogo incantevole con pioggia battente e nebbia costante non è certo l'ottimale. Non volendo perdere questo tipo di esperienza, ho trovato una soluzione alternativa.
Mappa Mai Chau
Ho quindi deciso di andare nella vallata di Mai Chau, distante 135 chilometri da Hanoi e raggiungibile con la corriera diretta o facendo cambio nella stazione di Hoa Binh per un totale di circa 4-5 ore di viaggio. Il pullman si ferma nell'unica strada che attraversa le montagne. Qui ci sono delle abitazioni normali (per normali si intende con mattoni e cemento). Proseguendo dritto verso la montagna, sulla destra si trovano dei sentieri che portano ai villaggi Ban Lac 1 e Ban Lac 2, abitati dalle minoranze etniche. Le case sono capanne o palafitte. Gli abitanti ti vengono incontro offrendoti vitto e alloggio per una notte. Si dorme per terra avvolti da grandi piumoni e nella maggioranza dei casi il bagno è in comune con altri viaggiatori. Per il mio soggiorno a Mai Chau ho scelto una soluzione più organizzata trovata su Booking: un piccolo complesso di capanne con bagno privato che si chiama “Mau Chau Farmstay” (414.000 dong = 16 euro, cena compresa). L'esperienza in questa struttura di legno e bambù è stata complessivamente positiva, però, con il senno di poi vi consiglio di trovare un altro posto dove dormire.
Vi descrivo cosa ho trovato: il “Mau Chau Farmstay” si trova un po' fuori il centro abitato dei villaggi, alla fine di una strada che guarda verso la montagna. Oltre al bagno privato, il vantaggio è il silenzio assoluto interrotto soltanto dai rumori della natura (pioggia, galli, anatre e altri animali). Sembra infatti di dormire all'aperto. Le altre capanne, invece, si trovano al centro del villaggio dove la sera c'è un minimo di movimento: bancarelle che vendono oggetti artigianali, bimbi che giocano, musica tradizionale o persone che fanno grigliate. Insomma, la vera vita di un villaggio. Il “Mau Chau Farmstay”, poi, appartiene alla stessa proprietà che possiede anche un albergo (una sorta di resort ecologico) e per questa ragione è gestito in maniera più imprenditoriale. Il ragazzo che ci ha accolto e che vive lì con la famiglia è un dipendente e non è neanche originario del posto. La cosa bella di stare a Mai Chau, invece, è proprio quella di vivere a contattato con la minoranza etnica dei Muong (l'altra etnica è quella dei Thai bianchi). Ed è soprattutto per questo motivo che vi consiglio di dormire in una delle loro case. Tra le altre cose positive, la farmstay mette a disposizione degli ospiti le biciclette e, compreso nel prezzo, ti offrono un tour guidato su due ruote in giro per la vallata. Purtroppo io non ho potuto usufruire di questo servizio perché il ragazzo-gestore che ce lo aveva proposto al momento della prenotazione, si è poi tirato indietro accampando scuse (cosa, ovviamente, che mi ha indispettito parecchio).
La vita nel villaggio scorre lentamente tra polli, galline e cagnolini. I bimbi giocano nei campi. Il tempo viene scandito dai ritmi di lavoro. Fino al tramonto si vedono donne che raccolgono e trasportano ceste piene di riso. Di sera le ragazze continuano a lavorare il cotone nei telai producendo meravigliosi tessuti per sciarpe, foulard, coperte o tovaglie. È bellissimo vederle all'opera. Per non appesantire il mio zaino da 7 chili, ho comprato molto poco. Ma se potessi tornare indietro nel tempo farei il pieno di queste stoffe artigianali uniche, senza dubbio uno dei migliori acquisti da fare in Vietnam.