Nel
distretto n.3 di Saigon, in Ly Chinh Thang Street al civico n.7, c’è un
locale chiamato Pho Binh. A guardalo da fuori, è il tipico magazzino sulla
strada con cucina e tavolini dove si servono tutte le classiche varianti delle
zuppe di noodle. In realtà, è molto di più di quello che sembra in apparenza. È
il luogo simbolo dell’arroganza e onnipotenza americana e, allo stesso tempo,
del coraggio vietnamita.
L'ingresso del locale Pho Binh |
Alla fine degli anni Sessanta, i soldati Usa venivano
qui per ristorarsi dopo le fatiche di una guerra che presto sarebbe diventata
fallimentare. Allo stesso tempo, il proprietario Ngo Van Toai, segretamente Vietcong, metteva a
disposizione del direttivo dei ribelli il piano superiore del locale. Quella stanza dal
pavimento a scacchi bianco e bordeaux diventò un vero e proprio quartier generale per i vietnamiti
comunisti che si riunivano di nascosto per pianificare i loro attacchi contro l’Ambasciata
americana e quelli dell’Offensiva del Tet del 1968.
La stanza dove si riunivano i Vietcong |
Dopo quasi cinquant’anni,
il locale di Ngo Van Toai è ancora aperto ed è stato ribattezzato da alcuni il locale "Peace Noodles". Il proprietario non c’è più, ma la
famiglia continua a preparare le zuppe Pho e a raccontare le storie dei reduci
di guerra. Vale la pena abbandonare i percorsi turistici per recarsi in questo
quartiere tutto vietnamita e ordinare qualcosa da mangiare. Dopo aver consumato
la noodle soup (tra l’altro, molto buona) un signore di circa 60 anni vi farà
salire su una scala (che si affaccia su una cucina molto confusionaria) che
porta alla stanza segreta dei vietcong. Qui tutto è rimasto tale e quale. Ci
sono gli arredi di un tempo e persino le tazzine che usavano i ribelli comunisti per il
thé o il caffè. Sulle pareti sono state appese le fotografie di alcuni vietnamiti
che hanno perso la vita durante l’attacco all’Ambasciata e in altre occasioni di
guerra. Tra tutti i personaggi in mostra sono pochissimi quelli che l’hanno
scampata. Tra questi c’è anche il sessantenne che vi accompagnerà nella visita.
Alto non più di 160 centimetri, corporatura esile e viso scavato, vi racconterà
in un inglese veloce e a tratti incomprensibile la storia di quel folle gruppo di
vietcong (uomini e donne) che si riuniva mentre gli americani banchettavano al
piano di sotto con le ciotole colme di spaghettini scotti. Con gli occhi vivi e un
sorriso dolce e sgangherato, vi mostrerà la cicatrice sulla sua gamba
destra, brutto ricordo di un ordigno esploso troppo vicino. O vi dirà che
soffre ancora d’asma perché per giorni si è nascosto con la faccia dentro la
terra compromettendo così l’apparato respiratorio. Sarà disponibile a far scattare
fotografie - anche con lui - e alla fine della visita vi mostrerà un quaderno
pieno di commenti dei visitatori, fotografie e cartoline raccolte in questo
mezzo secolo di attività. Dopo la guerra, il locale è stata frequentato anche da
molti americani che sono tornati sul posto forse per fare pace con se stessi e
con questa brutta pagina di storia.
Non perdete questa esperienza.
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