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mercoledì 13 gennaio 2016

I noodle della pace e le storie dei Vietcong


Nel distretto n.3 di Saigon, in Ly Chinh Thang Street al civico n.7, c’è un locale chiamato Pho Binh. A guardalo da fuori, è il tipico magazzino sulla strada con cucina e tavolini dove si servono tutte le classiche varianti delle zuppe di noodle. In realtà, è molto di più di quello che sembra in apparenza. È il luogo simbolo dell’arroganza e onnipotenza americana e, allo stesso tempo, del coraggio vietnamita.
L'ingresso del locale Pho Binh
Alla fine degli anni Sessanta, i soldati Usa venivano qui per ristorarsi dopo le fatiche di una guerra che presto sarebbe diventata fallimentare. Allo stesso tempo, il proprietario Ngo Van Toai, segretamente Vietcong, metteva a disposizione del direttivo dei ribelli il piano superiore del locale. Quella stanza dal pavimento a scacchi bianco e bordeaux diventò un vero e proprio quartier generale per i vietnamiti comunisti che si riunivano di nascosto per pianificare i loro attacchi contro l’Ambasciata americana e quelli dell’Offensiva del Tet del 1968.

La stanza dove si riunivano i Vietcong





Dopo quasi cinquant’anni, il locale di Ngo Van Toai è ancora aperto ed è stato ribattezzato da alcuni il locale "Peace Noodles". Il proprietario non c’è più, ma la famiglia continua a preparare le zuppe Pho e a raccontare le storie dei reduci di guerra. Vale la pena abbandonare i percorsi turistici per recarsi in questo quartiere tutto vietnamita e ordinare qualcosa da mangiare. Dopo aver consumato la noodle soup (tra l’altro, molto buona) un signore di circa 60 anni vi farà salire su una scala (che si affaccia su una cucina molto confusionaria) che porta alla stanza segreta dei vietcong. Qui tutto è rimasto tale e quale. Ci sono gli arredi di un tempo e persino le tazzine che usavano i ribelli comunisti per il thé o il caffè. Sulle pareti sono state appese le fotografie di alcuni vietnamiti che hanno perso la vita durante l’attacco all’Ambasciata e in altre occasioni di guerra. Tra tutti i personaggi in mostra sono pochissimi quelli che l’hanno scampata. Tra questi c’è anche il sessantenne che vi accompagnerà nella visita. Alto non più di 160 centimetri, corporatura esile e viso scavato, vi racconterà in un inglese veloce e a tratti incomprensibile la storia di quel folle gruppo di vietcong (uomini e donne) che si riuniva mentre gli americani banchettavano al piano di sotto con le ciotole colme di spaghettini scotti. Con gli occhi vivi e un sorriso dolce e sgangherato, vi mostrerà la cicatrice sulla sua gamba destra, brutto ricordo di un ordigno esploso troppo vicino. O vi dirà che soffre ancora d’asma perché per giorni si è nascosto con la faccia dentro la terra compromettendo così l’apparato respiratorio. Sarà disponibile a far scattare fotografie - anche con lui - e alla fine della visita vi mostrerà un quaderno pieno di commenti dei visitatori, fotografie e cartoline raccolte in questo mezzo secolo di attività. Dopo la guerra, il locale è stata frequentato anche da molti americani che sono tornati sul posto forse per fare pace con se stessi e con questa brutta pagina di storia. 
Non perdete questa esperienza.

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