Elenco blog personale

venerdì 29 gennaio 2016

Tappa a Phu Quoc, l'isola del pepe e del relax

Cosa fare e dove andare in questo pezzo di terra più vicino alla Cambogia che al Vietnam.
Il mercato notturno di Duong Duong, le coltivazioni di pepe e le foreste tra cascate e mangrovie.
E tanti cantieri per la costruzione di nuovi resort che stanno cambiando il volto di questa isola

Nella vita è bello parlare chiaro: se andate sull'Isola di Phu Quoc convinti di trovare mare caraibico, cambiate destinazione. In giro per il mondo c'è molto di meglio. Per completezza di informazione è giusto sapere che io sono siciliana e ho la fortuna di fare il bagno in posti bellissimi. Per questo quando sono in viaggio non cerco mai una vacanza di mare ma sento la necessità di averlo vicino, anche solo per guardarlo (“Il mare non ha paese nemmeno lui ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare di qua e di là dove nasce e muore il sole”: parole di Giovanni Verga, siciliano anche lui). Ed è quello che ho fatto in Vietnam: 21 giorni in viaggio, di cui 4 nell'Isola di Phu Quoc, tante passeggiate in riva al mare e nessun bagno all'attivo. Neanche la splendida distesa di sabbia bianca e gli alberi di cocco di Sao Beach mi hanno convinto (forse i venti non erano a favore), nonostante il paesaggio sia quello di una spiaggia selvaggia dove da un momento all'altro potrebbe spuntare Robinson Crusoe insieme con il suo amico Venerdì. Al di là del mare e dei miei personalissimi gusti, Phu Quoc è comunque il posto ideale dove rilassarsi per qualche giorno dopo un anno di lavoro o dopo le fatiche di un viaggio zaino in spalla.
Sao Beach
Andiamo con ordine. Phu Quoc ha una superficie di oltre 500 chilometri quadrati e si trova nel cuore del golfo della Thailandia e quasi più vicina alla Cambogia che al Vietnam. I collegamenti sono agevoli. Si può raggiungere via mare da Rach Già oppure con voli giornalieri da Hanoi, Ho Chi Minh, Can Tho e altre città. La natura è imponente: ci sono giungle, foreste di mangrovie e piccole cascate. L'offerta turistica è ogni anno maggiore e per questa ragione di recente è stato aperto un nuovo aeroporto super-moderno. Del vecchio scalo aeroportuale è rimasta soltanto la pista che, pur non essendo una strada aperta ufficialmente al traffico, viene presa dai vietnamiti per passare da una parte all'altra dell'Isola. È divertente percorrerla in motorino, cercando di scansare persone e animali. Lo sviluppo turistico non si è ancora arrestato: la costa di Long Beach è già piena di alberghi e resort ma, a guardare gli investimenti in corso, nei prossimi anni se ne conteranno molti di più stravolgendo completamente la fisionomia di questo pezzo di terra in mezzo al mare. Naturalmente, gironzolando, mi sono trovata nel bel mezzo di uno dei tanti cantieri dove lavorano centinaia di vietnamiti. Qui, attorno a gru e camion, ci sono veri e propri accampamenti di operai che vivono in baracche con le proprie famiglie (in Sicilia si dice “casa e putìa”) e con i servizi di base come bar, barbieri e altro. Nel giro di poco, al loro posto, ci saranno nuovi resort con piscine, centri benessere, campi da golf e suite pronte ad accogliere ospiti danarosi, specialmente i russi che sembrano andare pazzi per Phu Quoc. D'altronde qui si sta bene. Si mangia pesce a volontà, di tutti i tipi e di tutte le specie. Crostacei e frutti di mare la fanno da padrona, ma nelle bancherelle del mercato notturno di Duong Duong si potranno scegliere anche altri animali marini che si muovono nelle vasche in attesa di essere cucinati o grigliati: rane, anguille, serpenti e altri pesci strani o più comuni. Il mercato si snoda su un'unica strada lunga: la prima parte è dedicata alla ristorazione (ragazzi, ogni tanto si incontra un topo o uno scarafaggio, ma dopo aver mangiato il mio stomaco non ha protestato!!); nella seconda ci sono un po' di cineserie, vestitini, infradito di gomma (made in Vietnam, naturalmente) e souvenir vari. I commercianti proveranno a vendervi le perle di Phu Quoc, ma c'è da fare molta attenzione. Le fabbriche di perle, infatti, sono un'invenzione degli ultimi anni per far spendere soldi ai turisti. A quanto pare i neozelandesi hanno portato qui questo business, ma in realtà le coltivazioni di ostriche non sono autoctone. In poche parole, la visita a una “Pearl Farm” (ce ne sono 2-3 sparse per l'Isola) non è altro che una passeggiata dentro un negozio scintillante quanto Tiffany. Dentro le teche sono esposti bracciali, anelli, collier e orecchini di perle per tutte le tasche: da 20-30 euro fino migliaia di euro. I gioielli più economici vengono dalla Cina. Non credo si facciano grandi affari, ma le perle hanno sempre il loro fascino quindi ho dato volentieri un'occhiata.
Coltivazione di pepe
Una vera produzione di Phu Quoc, invece, è quella del pepe. La pianta di pepe è simpaticissima da vedere: si tratta di un rampicante con belle foglie verdi che cresce su un palo. Ci sono tante coltivazioni in giro per l'isola e i proprietari sono disponibili a far visitare i campi soprattutto se poi si acquisterà un barattolo di pepe (rosso, nero o bianco). Un altro prodotto tipico è la salsa di pesce “Nuoc Mam”: si tratta di un ingrediente essenziale della cucina vietnamita che dà un ottimo sapore ai piatti. Tuttavia avvicinarsi a una fabbrica di “Nuoc Mam” richiede una buona dose di coraggio: l'odore è disgustoso, si sente a metri di distanza e per questa ragione mi sono tenuta alla larga (e non sono l'unica a pensarla così). Non è un'esagerazione. Basti pensare che è vietato portare questa salsa in aereo perché se malauguratamente si dovesse rompere il contenitore, sarebbe un grosso guaio per chi è a bordo.
Da non perdere è la visita alla prigione di Phu Quoc chiamata anche “Coconut Prison” dove francesi e americani rinchiudevano i vietnamiti della resistenza sottoponendoli a torture brutali e selvaggi. Sembra un campo di concentramento. Ci sono delle riproduzioni dei soldati e dei prigionieri che mostrano le atrocità di questa guerra. Viene da piangere.
Coconut Prison a Phu Quoc
Tornando alle frivolezze, vi consiglio di concedervi qualche giorno di relax in un resort che qui hanno prezzi sicuramente più abbordabili rispetto a quelli europei. Io sono stata al Famiana Resort (guarda caso, la proprietà è russa) approfittando di una promozione trovata su Booking.com (circa 100 euro a notte). Siccome la vita da resort dopo mezzo pomeriggio mi snerva, ho provato anche un 3 stelle nuovo di zecca, Praha Hotel, dove mi sono trovata molto bene (circa 30 euro a notte). Infine, approfittate delle atmosfere esotiche del “Mango Resort” che ha una bella terrazza di legno proprio sul mare. Si trova nella parte nord dell'isola e non è molto agevole arrivarci. L'orario migliore è quello del tramonto che su questa isola è davvero speciale. 

lunedì 25 gennaio 2016

La Baia di Ha Long vista da Cat Ba

Halong Bay è una tappa obbligata del tour del Vietnam. Dichiarata patrimonio dell’Unesco, la baia è un’insenatura nel Golfo del Tonchino costellata da circa 2.000 isolette che sbucano dal mare. Una leggenda dice che l’origine di questi faraglioni derivi da alcuni dragoni mandati dagli dei in soccorso dei vietnamiti che erano in guerra con l’invasore cinese. I dragoni iniziarono a sputare rocce che poi si trasformarono in isole. Un’altra leggenda narra, invece, che muovendo la coda i dragoni distrussero pezzi di terra creando così insenature d’acqua tra un faraglione e un altro. Qualunque sia la storia sulla formazione dell’arcipelago, resta il fatto che Halong bay è un posto incantevole dove mare e terra si fondono in un verde verdissimo.
L’acqua è incredibilmente calda e sempre liscia come l’olio. Ci sono centinaia di case galleggianti coloratissime dove vivono e lavorano i pescatori con le loro famiglie. La baia è così bella che, gioco forza, è diventata una grande attrazione turistica e anche molti vietnamiti, specialmente quelli che vivono ad Hanoi, vengono qui per fare il bagno. Sembra che in alta stagione sia quasi impossibile godere della meraviglia del posto. Per questa ragione, ho preferito evitare il tour classico che porta da Hanoi ad Halong City che viene descritta da alcuni blog con un lungomare cannibalizzato dal cemento e dai venditori di giri in barca. Così, anche in questo caso, ho fatto il mio tour alternativo.
Un treno scassatissimo mi ha portato ad Haiphong, la città moderna più ordinata e pulita che ho visto in tutto il mio viaggio. Ho pernottato al Cozi Hotel (che, ho scoperto poi, quasi sicuramente era un albergo ad ore) e il giorno dopo di mattina presto mi sono recata all’imbarcadero per prendere l’aliscafo che in un’ora mi ha portato a Cat Ba, isola particolarissima che si affaccia sulla Baia di Halong. È stata un’ottima scelta perché l’isola è tranquilla. Il silenzio della bassa stagione ha fatto il resto. Ho alloggiato in un alberghetto sul lungomare. Si chiama Bay View (9 dollari): vista spettacolare ma bagno antiquato e per i miei standard inavvicinabile. La famiglia che lo gestisce (che mangiava ostriche dalla mattina alla sera!) era molto gentile e ci ha organizzato il giro in barca di 4 ore che comprendeva vogata in kayak e fermata a Monkey Island (le scimmiette sulla spiaggia ci sono sul serio!).
Bella anche la vita sull’Isola: qui si può noleggiare tranquillamente uno scooter (cosa sconsigliata nel resto del paese) e fare una salto al Fort Cannon, il punto più alto di Cat Ba dal quale si può ammirare bellezza della baia. Non a caso, poi, vista la posizione strategica questo promontorio è stato utilizzato a turno da giapponesi, francesi e vietnamiti durante le varie guerre che si sono susseguite in questo paese. Imponente la giungla e il parco nazionale. Io non ho potuto vederlo, ma merita assolutamente una visita anche “The Hospital Cave”, una grotta naturale trasformata in un rifugio e ospedale durante la Guerra del Vietnam. Perdendomi tra le strade dell’isola, mi sono imbattuta in una spiaggia resa gigante dalla bassa marea. Qui ho assistito alla scena più bella di tutto il viaggio che è stata immortalata in uno scatto che, non a caso, ho voluto mettere come sfondo di questo blog. Erano passate le sei del pomeriggio e una vecchietta (4 ossa che insieme non pesavano più di 45 chili) rastrellava la sabbia con un bastone più grande di lei. Era alla ricerca di qualcosa. Un sorriso sdentato e due mani che aprivano un sacchetto hanno soddisfatto la mia curiosità: cercava vongole. Sono queste “insignificanti” emozioni che mi fanno venire voglia di viaggiare.  

mercoledì 20 gennaio 2016

Tappa Hoi An: la città delle lanterne

Dopo aver trascorso una mattinata piovosa nella cittadella imperiale di Huè, un comodissimo sleeping bus della compagnia “Open Bus” mi ha portato direttamente nel cuore di Hoi An, suggestiva cittadina del Vietnam Centrale famosa per le lanterne colorate che rallegrano le stradine lungo il fiume. Qui l’atmosfera è suggestiva. La città vecchia è tranquilla e incredibilmente con poco traffico di motorino e biciclette. Le vie del centro sono piene di locali per turisti e di botteghe che preparano abiti sartoriali su misura. Questa città è una tappa imperdibile del tour del Vietnam, anche se forse è un po’ troppo “impacchettata” dal punto turistico. D’altronde, però, la posizione sul fiume e il mix di architettura coloniale con quella tipica delle pagode, hanno fatto di Hoi An uno dei siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

Hoi An: la città delle lanterne
È bello passeggiare la sera lungo il fiume e fermarsi a guardare le bancherelle di strada. Le vecchiette – con un po’ di gobba e alte non più di 1 metro e 50 – si avvicinano per vendere candele avvolte in un involucro di carta colorata da accendere e adagiare sul letto del fiume. Per cenare c’è l’imbarazzo della scelta. Ci sono molti locali che soddisfano il gusto occidentale. Io ho optato per una via di mezzo: “Vi Que” è un localino moderno con vista fiume che serve pietanze tipiche della cucina locale. Ho ordinato una “Hot Pot” a base di gamberi. Mi hanno dunque portato una pentola piena di brodo che riceve calore costante da un fornello. Dentro si butta di tutto e di più: pesce e moltissime verdurine ed erbe che conferiscono un ottimo sapore alla zuppa. A bollitura ultimata si può iniziare a mangiare!
Vista dal ristorante sul fiume
Hoi An è piena di cose da fare: si può andare in una sartoria e farsi confezionare un abito (magari il costume tipico chiamato Ao Dai: leggi post precedente, ndr), partecipare a un corso di cucina vietnamita, acquistare il ticket unico che consente di visitare 5 monumenti della città vecchia (l’interno del ponticello giapponese – un po’ deludente – musei, pagode e le tipiche dimore porticate costruite dai francesi). Consigliatissimo è il giro in bici. Ci sono moltissime agenzie locali che organizzano gite su due ruote. Il costo è di circa 20 dollari a persona. Dal momento che la guesthouse dove alloggiavo (si chiama “Han Hujen Homestay”) mette le biciclette a disposizione dei suoi ospiti, la scelta si è orientata verso un tour fai-da-te seguendo gli itinerari suggeriti dal web. In altre parole, con una bella passeggiata ho raggiunto il villaggio vegetale Tra Que che si trova poco fuori la città. Qui ci sono dei fazzoletti di terra con tutte le sfumature del verde dove si coltivano spezie ed erbe aromatiche. I contadini che lavorano nei campi ti guardando sorridendo e sono pronti a spiegarti (anche a gesti) cosa stanno facendo.
Villaggio vegetale Tra Que
Proseguendo nella pedalata, si arriva sulla costa per una sosta presso la spiaggia di An Bang. La sabbia è dorata e fine. È possibile noleggiare una sdraio. Quel giorno il mare era agitato e personalmente non mi è sembrato un granché (anche se c'è da dire che io sono abituata ad immergermi nelle bellissime acque della Sicilia: a proposito, se cercate una vacanze di solo mare, venite nella mia isola e non in Vietnam!). Inoltre, mi corre l’obbligo di segnalare che appena arrivati all’ingresso della spiaggia di An Bang, un custode dall’aspetto minaccioso obbliga i turisti a posteggiare bici o scooter in un parcheggio a pagamento. Da quello che ho potuto constatare questa regola non vale per i vietnamiti che indisturbati superano la sbarra di ingresso con qualsiasi mezzo. Pessimo biglietto da visita che ha influenzato negativamente il mio giudizio sul posto.
Se siete amanti dei massaggi, è bene sapere che nella periferia di Hoi An, poco fuori dal centro storico, si trova un piccolissimo ma ottimo centro benessere. Si chiama Pandanus Spa (indirizzo: 21 Phan Đình Phùng, Cẩm Châu) e negli anni ha collezionato recensioni entusiasmanti e meritate su Tripadvisor. In Vietnam una delle attività commerciali più gettonate è proprio quella che propone massaggi, ma molte volte sono deludenti. Il centro benessere di Hoi An, invece, è un porto sicuro e la gentilezza del proprietario è fuori dal comune.  Da provare il massaggio svedese.

Avendo la bicicletta a disposizione, vi suggerisco di addentrarvi anche nell’isolotto di Cam Nam collegato alla città tramite un ponte strettissimo (incredibilmente a doppio senso!). Qui non ci sono attrazioni turistiche particolari, ma è possibile vedere come vivono i vietnamiti. L’immagine che mi è rimasta più impressa è quella di un improvvisato campo di calcio pieno di bambini e ragazzi che giocavano a pallone. Da Cam Nam non passano molti turisti. Forse è per questa ragione che i più piccoli mi guardano incuriositi e sorridendo dicevano “Heeelllllooo!”. Questa parola pronunciata dai bambini mi ha accompagnato per tutto il viaggio.

martedì 19 gennaio 2016

Abiti morbidi ed eleganti, così le vietnamite seducono con l’Ao Dai

Si chiama Ao Dai ed è l’abito che le donne vietnamite indossano nelle grandi occasioni. Letteralmente “áo” è riferito a un capo di abbigliamento che copre dal collo in giù; “dài” invece significa ‘lungo’. E in effetti non c’è un centimetro del corpo che sia scoperto. E nonostante questo il risultato non passa inosservato per eleganze, stile e sensualità. 
Studentesse che indossano l'abito tradizionale Ao Dai
In pratica, consiste in una lunga tunica di seta aderente fino al giro vita per poi scendere morbida. Si indossa su un pantalone largo in tinta con la casacca. Di solito si realizzano in due colori (per esempio, bianco e azzurro) e più raramente con un motivo floreale. L’equivalente in Occidente è il classico tailleur. Infatti, viene utilizzato da molte donne che lavorano con il pubblico o dalle studentesse universitarie. Naturalmente l’Ao Dai - in quanto costume della tradizione vietnamita - viene indossato anche nelle cerimonie e nelle feste. A completare il quadro che dipinge queste donne bellissime ci sono i capelli neri, lisci e sottilissimi che incorniciano il volto bianco porcellana.

In tutto il paese ci sono negozi e sartorie che vendono questo capo. In particolare, la città di Hoi An è famosa per le botteghe che confezionano vestiti su misura. È un servizio pensato appositamente per i turisti e per questo è possibile avere l’abito bello e pronto nel giro di 24 ore.

venerdì 15 gennaio 2016

Tra riso e telefonini, un’economia che cresce di giorno in giorno

La miseria? Un ricordo di 30 anni fa. Oggi il tasso di povertà è del 3%. Disoccupazione bassissima e voglia di sviluppo. E gli europei in vacanza in Vietnam? Hanno un portafoglio con un ottimo potere d’acquisto. Ecco come girano i soldi nel Sud Est Asiatico.

Ritornata dal viaggio, una domanda frequente che mi hanno posto riguarda la povertà della popolazione. C’è miseria in Vietnam? La risposta migliore è quella che mi ha dato Tuyen, un ragazzo di 40 anni che organizza gite sul fiume Mekong con la sua barca di legno: «Povertà vuol dire non avere niente da mangiare e in Vietnam nessuno muore più di fame. Durante e dopo la guerra sì, ma oggi c’è sempre qualcosa da mettere dentro lo stomaco». Ci sono persone ricche, ma sono davvero poche (e magari tanto ricche). Il tasso di povertà è del 3%. La maggior parte della popolazione vive senza lussi ma dignitosamente. In pochissimi chiedono l’elemosina, ho visto un paio di mendicanti soltanto a Saigon. Se il lavoro non c’è, se lo inventano magari improvvisandosi per esempio guide turistiche. “Stay with local people” dicono invogliandoti a fare un’esperienza autentica (a pagamento) nelle loro case, magari per un corso di cucina o per un giro in bici tra le risaie. D’altronde, anche se ancora non c’è la ricchezza consumistica alla quale siamo abituati (e per la quale i soldi non bastano mai neanche a noi), l’economia ha iniziato a girare anche qui. Le case sono spartane, piccole e strettissime: a volte non più di 15-20 metri quadrati, ma con due-tre piani (specialmente nelle grandi città). Hanno pochissimi mobili e rubinetti arrugginiti e demodé. Appena incassano qualche soldino, però, corrono subito a comprare un televisore piatto da 32 pollici in su da appendere alla parete per guardare trasmissioni occidentali e le partite di calcio.  

La banconota da 100.000 dong vale circa 4 euro
 con il tasso di cambio aggiornato a gennaio 2016
In Vietnam non esistono monete. Ci sono soltanto banconote e tutte riportano il volto di Ho Chi Minh. Al momento del mio viaggio (novembre 2015), 1 euro corrispondeva a circa 24.000 dong e con questa cifra si possono fare tante cose come un corsa cittadina in taxi o un pasto a base di zuppa Pho. Il taglio più piccolo che ho visto è da 500 dong, ormai in via d’estinzione (il valore di 500 dong è così basso che è anche inutile calcolarlo!). Di conseguenza ci sono cose che costano pochissimo e altre, invece, che hanno lo stesso prezzo applicato in Italia (come la televisione – che dunque è quasi un lusso per i vietnamiti – ma anche come altri elettrodomestici o un semplicissimo sali-scendi per la doccia). In compenso, però, il costo del lavoro è bassissimo e il tasso di disoccupazione non supera il 6% (tanto per rendere l’idea, in Sicilia è del 20%). E così, mentre in Italia le aziende private fanno salti mortali per assumere personale, in Vietnam è possibile vedere 4-5 dipendenti addetti a preparare la colazione di un piccolo albergo o un giovane portiere di un hotel a 2 stelle il cui compito è solo e solamente quello di aprire la porta ai clienti. Sarà per questo che colossi come Samsung e LG hanno deciso di impiantarsi in questo paese del Sud Est Asiatico, portando investimenti e posti di lavoro. Ho Chi Minh City (che molti chiamano ancora Saigon) è, per esempio, una città in pieno sviluppo sebbene i venti di crisi internazionale si siano fatti sentire anche qui. Ad ogni modo, la povertà rurale degli anni Ottanta è ormai un ricordo spazzato via dalla “Doi Moi”, la politica economica di apertura internazionale avviata dal governo comunista nel 1986. Da allora è iniziato il trend in crescita dell’economia vietnamita: in 30 anni il reddito pro capite è passato da 100 a 1.700 dollari.

Negli ultimi sei anni il Pil del Vietnam è raddoppiato e oggi vale 186 miliardi di dollari. L’export cresce costantemente e nell’ultimo anno ha segnato un +12%, che, tradotto in soldini, vuol dire che complessivamente hanno prodotto 150 miliardi di euro dalle vendite all’estero. Dentro non ci sono soltanto i telefonini, ma anche scarpe, borse, abbigliamento, bottoni, ecc… portano l’etichetta “Made in Vietnam”. E poi c’è l’agricoltura, da sempre settore principale dell’economia nazionale. Il primo prodotto è il riso. Dopo il Brasile, il Vietnam è il secondo produttore mondiale di caffè. Si coltiva anche canna da zucchero, patate dolci, caucciù, ananas e agrumi. La pesca è altrettanto importante, specialmente per quanto riguarda frutti di mare e crostacei. Impossibile per me dimenticare la scena di una famiglia, modesta e numerosa, seduta a tavola per un qualsiasi pranzo: c’era una montagna di ostriche, piatto unico di quel pasto. Come a dire, l’importante è avere sempre qualcosa da mangiare. Se sono ostriche ancora meglio!

mercoledì 13 gennaio 2016

I noodle della pace e le storie dei Vietcong


Nel distretto n.3 di Saigon, in Ly Chinh Thang Street al civico n.7, c’è un locale chiamato Pho Binh. A guardalo da fuori, è il tipico magazzino sulla strada con cucina e tavolini dove si servono tutte le classiche varianti delle zuppe di noodle. In realtà, è molto di più di quello che sembra in apparenza. È il luogo simbolo dell’arroganza e onnipotenza americana e, allo stesso tempo, del coraggio vietnamita.
L'ingresso del locale Pho Binh
Alla fine degli anni Sessanta, i soldati Usa venivano qui per ristorarsi dopo le fatiche di una guerra che presto sarebbe diventata fallimentare. Allo stesso tempo, il proprietario Ngo Van Toai, segretamente Vietcong, metteva a disposizione del direttivo dei ribelli il piano superiore del locale. Quella stanza dal pavimento a scacchi bianco e bordeaux diventò un vero e proprio quartier generale per i vietnamiti comunisti che si riunivano di nascosto per pianificare i loro attacchi contro l’Ambasciata americana e quelli dell’Offensiva del Tet del 1968.

La stanza dove si riunivano i Vietcong





Dopo quasi cinquant’anni, il locale di Ngo Van Toai è ancora aperto ed è stato ribattezzato da alcuni il locale "Peace Noodles". Il proprietario non c’è più, ma la famiglia continua a preparare le zuppe Pho e a raccontare le storie dei reduci di guerra. Vale la pena abbandonare i percorsi turistici per recarsi in questo quartiere tutto vietnamita e ordinare qualcosa da mangiare. Dopo aver consumato la noodle soup (tra l’altro, molto buona) un signore di circa 60 anni vi farà salire su una scala (che si affaccia su una cucina molto confusionaria) che porta alla stanza segreta dei vietcong. Qui tutto è rimasto tale e quale. Ci sono gli arredi di un tempo e persino le tazzine che usavano i ribelli comunisti per il thé o il caffè. Sulle pareti sono state appese le fotografie di alcuni vietnamiti che hanno perso la vita durante l’attacco all’Ambasciata e in altre occasioni di guerra. Tra tutti i personaggi in mostra sono pochissimi quelli che l’hanno scampata. Tra questi c’è anche il sessantenne che vi accompagnerà nella visita. Alto non più di 160 centimetri, corporatura esile e viso scavato, vi racconterà in un inglese veloce e a tratti incomprensibile la storia di quel folle gruppo di vietcong (uomini e donne) che si riuniva mentre gli americani banchettavano al piano di sotto con le ciotole colme di spaghettini scotti. Con gli occhi vivi e un sorriso dolce e sgangherato, vi mostrerà la cicatrice sulla sua gamba destra, brutto ricordo di un ordigno esploso troppo vicino. O vi dirà che soffre ancora d’asma perché per giorni si è nascosto con la faccia dentro la terra compromettendo così l’apparato respiratorio. Sarà disponibile a far scattare fotografie - anche con lui - e alla fine della visita vi mostrerà un quaderno pieno di commenti dei visitatori, fotografie e cartoline raccolte in questo mezzo secolo di attività. Dopo la guerra, il locale è stata frequentato anche da molti americani che sono tornati sul posto forse per fare pace con se stessi e con questa brutta pagina di storia. 
Non perdete questa esperienza.